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Onde – parte 2/2

La storia di una scomparsa, raccontata dall’acqua

la parte 1 puoi leggerla qui

 

**3**

 

Mentre un paio di agenti annoiati gironzolavano con calma per casa, lungo il giardino e la costa del lago, alla svogliata ricerca di qualche indizio o segno utile per ricostruire l’accaduto, decise di salire al piano di sopra.

Là c’era il suo laboratorio, quello dove lei costruiva bambole di pezza, che poi regalava, vendeva ai mercatini o ad alcuni appassionati del genere ben selezionati nel corso degli anni.

Lui non entrava mai in quella stanza: per tacito accordo tra loro, quello era uno spazio, una bolla solo sua, dove lei andava quando aveva bisogno di stare un po’ da sola.

Decine di occhi femminili spalancati si fissarono attoniti su di lui.

C’erano bambole dappertutto, sugli scaffali, per terra, sulle sedie. Si avvicinò al tavolo di lavoro e, per vedere meglio, e raccogliere i pensieri, decise di sedersi qualche istante.

Sul piano ristava ancora una bambola in corso di costruzione, lasciata a metà, senza gli occhi, senza il vestitino. Aveva scarpine nere di plastica che odoravano di vernice fresca.

Davanti a quel manufatto incompleto, ebbe dapprincipio una sensazione strana, poi, immaginandosi lei che vi si applicava, che la pensava, progettava, infine realizzava, venne sopraffatto con sgomento dalla considerazione per cui sua moglie aveva evidentemente una vita propria, totalmente distinta dalla sua, di cui lui non sapeva niente.

Essa – soprattutto – aveva chiaramente dei suoi sentimenti, dei gusti, delle preferenze, dei desideri, delle manie, magari persino delle piccole nevrosi di cui lui non sapeva nulla, a cui lui non aveva mai pensato, cui non aveva mai prestato attenzione, ma che esistevano, facevano parte di lei. Forse erano la vera lei e lui non l’aveva mai conosciuta.

Lei dunque – che ora non si sapeva nemmeno più bene dove fosse, cosa le fosse capitato – era una persona, con le sue emozioni, i suoi gusti, un suo colore preferito col quale pescava, magari, i bottoni da mettere come occhi alle sue bambole…

Si accorse che non aveva mai pensato a sua moglie come ad una persona, ad una cosa che vive, si evolve, muta, commette errori. In quel medesimo istante considerò ancora, e una folata di vento freddo gli accarezzò la schiena, che a quel punto poteva essere accaduto di tutto.

Lei era *viva*, aveva una *sua* vita: poteva anche esser fuggita con un altro uomo.

 

Erano trascorsi solo pochi istanti da quella scoperta, quando si sentì bussare alla porta della studiolo: lui si scosse e si alzò, rispondendo frattanto «Sí?».

Aprì la porta. Uno dei due agenti aveva in mano un oggetto. Glielo avvicinò chiedendogli «È di sua moglie?»

Era il suo fermaglio. Annuì e chiese «Dove l’avete trovato?»

– «Galleggiava vicino alla punta del pontile»

 

**4**

 

Erano passati sei mesi. La moglie non era più tornata, né avevano trovato il corpo, pur avendo scandagliato tutto il lago e i luoghi circostanti.

Il giorno della scomparsa, dopo il ritrovamento del suo fermaglio, avevano chiamato i sommozzatori. Lui aveva guardato con curiosità quegli uomini con le tute nere, le bombole e i loro arnesi immergersi nel loro lago alla vana ricerca di lei. Si abbandonavano con dolcezza a quelle acque che, poche ore prima, potevano averla inghiottita, lasciandosi a loro volta inghiottire lentamente, ma con gesti sicuri e determinati. Per tutta la notte, sentì lo sciacquío dei sommozzatori che entravano e uscivano, camminavano lungo la costa con i bastoni, ficcandoli nella melma alla ricerca di qualcosa.

Le ricerche erano continuate per alcuni giorni, poi erano state via via ridotte, sino ad essere abbandonate del tutto.

Lui allora aveva preso una decisione, strana innanzitutto per lui stesso. Era andato in paese, aveva acquistato l’attrezzatura adatta, si era fatto impartire alcune lezioni da un esperto e aveva iniziato ad immergersi anch’esso, tutti i giorni, con le bombole.

Nuotava verso il fondo, tentando di illuminare quello strano universo acquatico con una lampada, che spargeva un’inutile aurea tutt’intorno, come un lampione assiso nella nebbia.

Si immergeva ogni giorno e restava per lungo tempo sott’acqua, non si sa bene ormai a cercare cosa.

 

Quel giorno, come tutti gli altri, aveva percorso il pontile fino alla scaletta, si era infilato l’attrezzatura e si era concesso timidamente alle acque del lago, come se temesse di indispettirle.

Si diresse verso il fondo, reggendo la lampada.

Man mano che andava più in basso, gli sembrava di avvicinarsi a lei. Era come se ne sentisse la presenza.

Gli vennero alla mente alcune occasioni del passato, momenti della loro vita in comune, in cui lei gli aveva parlato, lo aveva guardato, ora con uno sguardo che chiedeva una cosa, ora con un altro sguardo che ne chiedeva un’altra.

Ed era come se soltanto adesso lui capisse quello che lei gli aveva detto, anni prima, e il modo in cui, sempre anni addietro, lo aveva guardato.

All’improvviso, laggiù, da solo, avvolto dall’acqua e dal silenzio, si rese conto di non averla mai ascoltata.

Non si era mai connesso davvero con lei, non si era mai chiesto, col cuore, che cosa provasse veramente, come si sentisse. Lei era stata per lui solo un suo pubblico, uno specchio di lui, un mare che accoglieva il fiume del suo esibizionismo, del suo egocentrismo. Nel loro matrimonio, esisteva solo lui, di cui lei era un’appendice, che doveva semmai solo ringraziare per il privilegio di essere stata ammessa a vivere al suo cospetto.

Nel centro del suo petto, allora nutrito e sorretto dalla respirazione meccanica delle bombole, provó una sensazione di contrizione, di angustia, di rimpianto e di vergogna.

Proseguì verso il fondo.

Urtò contro qualcosa. Si mise seduto. Reggeva la lampada, che a sua volta lo ricambiava racchiudendolo in un bagliore verdastro.

Lei gli mancava così tanto ora.

– «Dove sei?» chiese mentalmente, come se lei potesse sentirlo e persino rispondergli.

Possibile – si chiedeva – che, sotto tutta quella noia, quell’incapacità di sentire ancora qualcosa, quella sensazione perenne di futilità, che provavo ogni volta che la guardavo, io la amassi, la amassi davvero? O che, se non la amavo allora, la ami solo adesso, ora, ora che lei non c’è più, anzi forse nemmeno è più?

 

Erano le otto di sera. Fuori faceva già buio. Decine di metri sott’acqua, in una bolla di nebbia color acqua sporca, gli sembrava che lei fosse là con lui. Ne sentiva la presenza attraverso la mancanza, era per questo che si era spinto là, in quel non-luogo, fatto di acqua scura, poca luce ben sfocata, silenzio, lontananza di lui, assenza di lei.

Ad un tratto, ebbe compassione della moglie, sperò sinceramente che fosse ancora viva, da qualche parte, a vivere una vita autentica, da sola o con un uomo che le volesse bene.

Subito dopo, ebbe compassione di se stesso, dei suoi errori, dei suoi limiti, delle sue manchevolezze, della vita di prima e del suo cuore arido e indurito.

Si sentì allora più leggero.

Volse il capo verso l’alto, come per vedere la superficie, che tuttavia era troppo lontana. La muta di gomma lo avvolgeva premurosa come un guanto, gli strumenti di respirazione, con la loro illusione di controllo, lo consolavano.

Si volse verso l’orologio che portava al polso sinistro, con il grande quadrante e le spesse lancette che camminavano tranquille.

Ristette per qualche istante a seguirne il movimento poi, lentamente, attento a non offendere niente e nessuno, cominciò a risalire.

 

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6 risposte su “Onde – parte 2/2”

Questa parte mi ha colpito . È vero che comprenderai quanto ami una persona quando crederai che non la rivedrai mai più. Il quotidiano, abitudine, automatismo di fare le cose di tutti i giorni ci sopprimono i sentimenti.
Mio compagno era una gran bella persona ( e non lo dico perché non c’è più) ma ogni tanto mi domandavo lo amo così tanto anche io come lui ama me?
Sono stata sempre quella che cercava il perché della vita , lui e stato quello più materiale .
Solo dopo che è venuto mancare ho compreso la grandezza del amore che provavo per lui.

Bravo Tiziano! Una storia che mi ha incuriosito… aspetterò prossimo venerdì per continuare la lettura.

Che bel commento, grazie.

Sì, purtroppo non così di rado comprendiamo il valore delle cose che abbiamo solo dopo che le abbiamo perdute.

Come ha detto il nostro Maestro buono, a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quel poco che ha…

É un po’ quello che è successo al protagonista di Onde, che assomiglia a tanti di noi: non è, in fondo, cattivo, ma non ha saputo apprezzare quello che aveva quando lo aveva e si immerge nell’acqua nell’illusione di stare con lei che ormai non c’è più e forse non è nemmeno più.

Ed è un po’ il ritratto anche di una società in cui si tende a giocare coi sentimenti, ma questo a volte conduce a perdite da cui non si può tornare indietro; sul tema, c’è un bel film di Rohmer che ti consiglio di guardare: le notti della luna piena.

Un abbraccio.

In realtà questa finisce così, con un finale un po’ aperto anche se non molto, è un racconto breve. Venerdì prossimo un’altra storia, sempre alle ore 17.

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