Le piante, secolari veterane del giardino che circondavano la casa di lui come altrettanti militi in perenne missione, acconsentirono indifferenti al passaggio di lei, come a quello di migliaia d’altri visitatori dei decenni precedenti, limitandosi a lasciar tremare qualche fronda solleticata dal vento, che quella mattina di primo settembre le accarezzava dolcemente.
Lei camminava lentamente, trasognata, lasciando che l’aria fresca e tersa di quel cielo turchese e nitidissimo che vedeva sopra di lei si frangesse timida contro il suo viso, facendole ondeggiare i capelli.
- Benvenuta – disse lui, già in attesa sulla porta.
-
Grazie…
Sorridevano entrambi. Gli occhi di lei non erano più liberi come poco prima, ma puntati ora su di lui con attenzione e piacere.
Lui la guardò in silenzio per qualche secondo, poi, facendosi serio, e scostandosi per predisporsi a lasciarla entrare, osservò, continuando con leggerezza a tenere gli occhi su di lei, abbassandoli solo all’ultimo momento per fingere un po’ di timidezza – Un giorno bisogna che ti parli di quanto sei bella, perché secondo me tu non lo sai ancora bene…
Il sorriso di lei si aprì ancora di più.
Le piacevano i complimenti, come a tutte le donne, e lui sapeva esattamente come nutrirla. E voleva farlo, perché la felicità di lei subito dopo tornava anche a lui, come in un gioco di specchi.
- Il solito?
-
Sì, grazie – rispose lei, con soddisfazione, rincuorandosi, mentre si accomodava felice al tavolino del soggiorno, ripetendo un gesto evidentemente ormai consueto.
Chissà perché una tazza di caffè toglie sempre una parte di agitazione alle persone: la scienza dice che il caffè agita l’uomo, il cuore invece sa che – all’esatto contrario – l’uomo che si siede davanti ad una tazzina ritrova, almeno per un poco, la pace.
Quando i caffè furono pronti, lui li portò sul tavolo e si sedette, contento, a sua volta, accanto a lei.
Lei aveva un naso non proprio regolare, ma sapeva portarlo in modo eccellente. Anche i difetti, infatti, vanno saputi mostrare e persino la bruttezza, se ben portata, è non così di rado più attraente di tante bellezze che promanano da forme regolari, ma, in fondo, piuttosto banali e, pertanto, sciapide. Tutto dipende da cosa una donna, o un uomo, riescono a esprimere, a comunicare. Niente, in fondo, rende affascinante una donna come un bel difetto ben portato.
Lui, dal canto suo, piaceva perché aveva un tasso molto basso di ipocrisia, di – si potrebbe definire – convenzionalità. Ognuno di noi, checché se ne dica, non uscirà mai dalle sue formalità, dalle sue convenzioni, da quel minimo di ipocrisia che è inevitabile avere nella vita di tutti i giorni. Ebbene, lui riusciva a tenere tutto ciò al minimo,; lei non aveva mai conosciuto una persona che fosse più sincera e diretta di lui, senza, beninteso, mai offendere nessuno, ma prendendosi sempre cura del cuore di tutti. Nelle situazioni che avrebbero potuto ingenerare imbarazzo, e nelle quali la pressoché totalità delle persone si cavava d’impiccio con una piccola bugia bianca, e un sorriso artificioso, lui si limitava a sorridere, guardando il suo interlocutore, ammettendo appunto la difficoltà della situazione e coinvolgendovelo direttamente, come per dirgli «Adesso dovrei cavarmi dalle difficoltà dicendoti una bella bugia, ma non ne ho voglia e ho troppo rispetto di te per farlo».
Stranamente, il più delle volte funzionava. Anzi, a lei lui piaceva proprio per questo, per la sua semplicità, per la sua coerenza e per il fatto di non spendere mai una parola in più di quelle che erano necessarie, specialmente non dire mai bugie solo per rispettare convenzioni sociali che, per lui, sembravano non esistere.
Lei trovava questo suo comportamento molto maschile, e quindi attraente, molto originale, quindi divertente, e, infine, più gestibile, perché con lui era facile avere una connessione autentica e sapere più o meno sempre che cosa stesse pensando. Il vero miracolo era che riusciva a fare tutto questo restando morbido col cuore delle altre persone, senza un pizzico di volgarità, anzi mostrandosi amabile con tutti.
Era genuinamente spontaneo, aveva solo trovato una via diversa che gli consentiva di comportarsi, nonostante ciò, con delicatezza verso chiunque, perché era considerato una persona amabile ed era generalmente benvoluto, considerato simpatico e persino più intelligente di quello che, in realtà, non fosse – ognuno di noi tende a considerare intelligente tutte le persone che trova simpatiche.
Bevuto il caffè, senza dire nulla lui prese le tazzine e le posò nel lavandino, poi tornò felpato vicino a lei, le prese la mano e la portò dolcemente verso l’alto per farla alzare, dopodiché, con altrettanta dolcezza, gliela lasciò e sorridendo iniziò a voltarsi verso la camera da letto. Lei accennò a seguirlo disegnando a sua volta un sorriso timido, che conteneva un piccolo, ma prezioso, rimasuglio di pudore, come piaceva sia a lui che a lei quando stavano avviandosi all’amore.
«Come va con tuo marito?»
Ogni tanto, dopo l’amore, quando erano più connessi del solito e diventava meno difficile parlare degli argomenti spinosi, lui glielo chiedeva.
Lei provava un po’ di fastidio per quelle domande, ma era anche vero che lui, in diverse occasioni, l’aveva aiutata nel relazionarsi proprio col marito, facendola riflettere su diversi aspetti che avevano migliorato la comunicazione tra loro. Quella volta, però, la domanda la angustiò più del solito.
«Siamo separati da sei anni» rispose, con una leggera punta di stizza.
Lui non disse niente, capendo che lei non aveva voglia di affrontare l’argomento.
Si diresse di nuovo verso il soggiorno, invitandola con lo sguardo a seguirlo. Lei gli andò dietro e si sedettero di nuovo al tavolino, per un altro caffè.
Mentre lui lo preparava, lei, che provava ancora una punta di contrizione, gli disse «È difficile per me, lo sai…»
Lui si volse e la guardò comprensivo, senza dire nulla.
Lei allora si arrese: – «E va bene, parla. So già che me ne pentirò, ma parla, per favore, voglio sentire quel che hai da dire». La sua voce era curiosa e rattristata assieme, come se fosse davvero interessata a quel che lui aveva da dire, ma sapesse, al tempo stesso, che ascoltandolo avrebbe sicuramente sofferto.
Lui la guardò ancora un po’ senza dire niente. In questo – guardare le persone in silenzio senza provare il minimo imbarazzo – era molto bravo; era come se riuscisse a stare dentro alla lentezza e a portarci dentro tutti i suoi interlocutori, come se aprisse una bolla fatta di delicatezza, prudenza, piccoli passi, tocco leggero, ci andasse a stare dentro e vi facesse accomodare subito dopo tutte le persone che parlavano con lui.
«Ma niente» esordì, chiamandola per nome. «Sai come la penso e tutti e due sappiamo che su questi temi siamo dissonanti, siamo asimmetrici. Io adesso ti dirò di nuovo come la vedo, tu ora non te la prenderai con me, sarai comprensiva, perché io ti dirò tutto questo guardandoti dolcemente negli occhi, così potrai sentire che sono sincero. Quando sarai a casa, però, magari non subito, ma tra due, tre giorni, ripenserai a me, a quel che ti ho detto, e ti verrò in uggia, il mio discorso ti farà dispetto»
Aveva ragione. Le idee, i modi diversi di sentire, dividono. Quando si fa l’amore ci si connette, quando ci si guarda in faccia si resta uniti, si possono affrontare anche i discorsi che dividono. Quando poi ci si separa davvero, la mente lavora, lavora, lavora fino ad aprire una divisione, una spaccatura, perché la mente è egoica, è la lusinga e la presunzione del diavolo. Allora l’uomo non capisce come abbia potuto accettare certi discorsi non condivisibili e se la prende con la persona che glieli ha manifestati, non tanto per il contenuto di quei discorsi, ma solo perché quella persona ora è lontana.
Non bisognerebbe mai confondere le idee con le persone: le idee che non si condividono vanno sempre combattute, le persone, all’opposto, sempre abbracciate. Anche perché cosa sono, in fondo, le nostre idee, se non le proiezioni, il precipitato, il cascame delle nostre ferite? Parliamo delle nostre opinioni come se fossero delle conquiste, come se in esse ci fosse la nostra identità, mentre invece c’è solo quella più piccola parte che è il nostro vissuto, raramente ci sono le nostre scelte, tutto al contrario di quello che pensiamo. E la nostra identità è nelle nostre scelte, che possono cambiare ed essere diverse volta per volta: un uomo considerato cattivo può scegliere per il bene e un uomo generalmente considerato buono può arrivare a scegliere il male, per questo non ha mai senso parlare di uomo buono o cattivo, si può parlare al massimo del suo passato sino ad oggi…
Lei, come riflettendo a voce alta, disse, con voce neutra «Pensa te se dovevo trovarmi un uomo con cui fare l’amore che vuol farmi tornare con mio marito…». Poi sorrise di una situazione così curiosa e originale.
Anche lui sorrise.
«Te l’ho già spiegato…» – ricominciò – «Io non voglio che tu torni con tuo marito. So che adesso tra l’altro è una ipotesi che consideri di pura teoria, fantascienza, incredibile e mai verificabile. Quello che penso io è che sarebbe bello che tu fossi felice con lui e con i vostri figli… Ovviamente, se tu tornassi con tuo marito io dovrei farmi da parte e questo mi dispiacerebbe molto, perché sono molto legato a te, ma sarei al tempo stesso molto felice per tutti voi…»
Lei lo guardò con calma, lui si lasciò squadrare per bene. Era un discorso che non aveva senso, ma lui era sincero. Come si spiegava? Lei non riusciva a capire.
Lui uscì un attimo in giardino.
Si chinò verso un vaso, colse un fiore, tornò da lei.
Si portò il fiore sotto al mento e, tenendolo là, poco sotto la bocca, iniziò a guardarla sorridendo, continuando poi a sorriderle e a tenere gli occhi su di lei, che, frattanto, non capiva, ma né protestava, né distoglieva lo sguardo dal viso di lui, dal suo sorriso e dal suo fiore impugnato come un manifesto, una bandiera, uno slogan, proposti con la delicatezza e la gentilezza di un sorriso.
Dopo un po’ che lo guardava, ad un tratto lei capì.
Comprese che ci sono cose che non si spiegano con le parole, che non si possono comprendere con la mente.
Nel silenzio, quando le parole si sono ormai ritirate, si può scendere nel cuore, dove non ci sono vocaboli, ma solo icone, segni o simboli, dove il passato, il presente e il futuro non esistono più, o non ancora, perché laggiù, nel cuore, vivono persone scomparse anni addietro, insieme a persone che non abbiamo ancora incontrato, mentre magari mancano le persone che, invece, abbiamo davanti.
Lui le voleva bene davvero e metteva il bene di lei sopra al suo, restando coerente con le sue idee e senza cederle per adottare le sue, o far finta di adottarle senza crederci. Era autentico e, per questo, contraddittorio e per molti versi incomprensibile, proprio perché non era un personaggio, un ruolo – l’amante, il fidanzato, l’amico, il confidente – ma una persona vera, con le sue idee, le sue ferite, i suoi limiti, la sua finitezza, la sua inadeguatezza, ma, nonostante tutto ciò, la sua capacità di amare.
Non tutti possono mettersi un sorriso sincero in faccia, non tutti possono brandire un fiore come se fosse la più potente spada.
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