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La storia di Ciu Lai – parte 2/2 – Ciu Lai molla l’osso

La seconda e ultima parte della epica storia di Ciu Lai.

(qui la prima parte)

2

Quando Ciu Lai si svegliò, era legata alla testata del letto.

Io indossavo la mia preziosa vestaglia orientale, con un gigantesco ideogramma pitturato sulla schiena, dono di una mia vecchia fidanzata orientale di qualche anno fa, una donna che ricordavo ancora con piacere, onore, profonda stima e tanta poesia. Stavo facendo il tè.

«Succhio cazzi…» disse lei.

Mi voltai, incuriosito e divertito, replicando «A parte che io sono l’ultima persona a cui dovresti dirlo, ormai… Ma cosa c’entra?»

Lei mi guardò a sua volta con stupore e precisò «Succhio cazzi… È quello che hai scritto sulla schiena.»

Istintivamente e con un gesto scomposto mi spogliai della vestaglia, gettandola sul letto e rimanendo di nuovo nudo.

Lei mi guardò sorniona proprio là, a metà vita, come per dire «E poi dicono che sono gli orientali ad avercelo piccolo!», ma io soprassedetti su quella notazione mentale pur così evidente e andai a infilarmi un paio di mutande sulle quali i produttori saggiamente non avevano scritto niente.

Poi cominciai: «Tu volevi rubare qualcosa che è mio. Io invece ti ho fatto un regalo».

Si fece curiosa e attenta.

Continuai «Mentre eri svenuta, ti ho impresso la mossa segreta del maestro Zin Zan.»

Si spaventò. Sapeva cos’era.

«Adesso, c’è una parola che non potrai mai pronunciare. Se lo farai, ne morirai immediatamente, consumata da un fuoco istantaneo e senza scampo.»

«E perché sarebbe un dono? A me sembra più una maledizione» proruppe stizzita.

Sorrisi.

Aspettai qualche istante prima di ricominciare a parlare.

«Perché ora avrai due poteri: quello del momento presente e quello di scegliere con cura le parole da non dire.»
«E il primo potere lo assaporerai subito» – precisai, porgendola una tazza di tè e dicendole: «Ora bevi».

Lei bevve, tutto d’un fiato e con tutta se stessa.

Ripresi «Nel gesto del bere hai assaporato il potere dell’istante presente. Ora, in questa tazza ormai vuota, c’è la tua nuova vita, potrai riempirla con quello che vuoi».

Lei ancora non parlava, un po’ scossa dalla situazione e un po’ timorosa di pronunciare la parola che l’avrebbe mandata al cimitero.

– «Ma è il secondo potere quello più grande in assoluto per una donna: quello di tacere» conclusi.

Negli occhi di lei balenò un lampo di dispetto, poi si fece trasognata e, lentamente, scandendo bene ogni parola, anche perché preziosa, proprio perché poteva essere l’ultima, disse, abbassando il capo leggermente in segno di sottomissione: «Maestro, cosa devo fare ora?»

Io replicai, altrettanto lentamente «Vai a casa da tuo marito e dai tuoi figli e abbracciali tutti»

I suoi occhi si fecero d’acqua, ma non saprei dire se si fosse commossa davvero.

La slegai. Si gettò a terra davanti a me, la sollevai immediatamente.

«Non puoi dirmi qual è quella parola vero?»

«No, se lo facessi, finiresti per dirla, magari soprappensiero, magari in sogno, magari in pieno giorno. Una donna finisce sempre per fare quello che non deve fare. Ma stai tranquilla, non è una parola che direbbe una cinese agente del servizio segreto».

La fissai dolcemente.

Anche lei mi guardò piena di stima e riconoscenza.

Le misi una mano sulla spalla, lei immediatamente si abbassò, facendo come per inginocchiarsi; io esclamai subito «Ma no, cos’hai capito, volevo solo salutarti!»

Lei sorrise e si rialzò quando ancora doveva toccare terra, senza dire nulla.

«Hai preso tutto? La tua giacca, la sciarpa, le ginocchiere?»

Lei annuì.

Allora le diedi un bacio leggero sulla guancia. Sapeva di balsamo tigre.

Le strinsi la mano e le dissi «Addio»

«Addio» rispose lei, sapendo che quella era una parola utilizzabile, altrimenti non l’avrei usata nemmeno io stesso, per il nostro commiato.

La guardai allontanarsi sculettando due chiappe che, tutte e due insieme, erano grandi come una sola chiappa di femmina occidentale.

Poi, con quel pensiero buffo e insinuante insieme, chiusi la porta, buttai la vestaglia e me ne tornai finalmente a dormire.

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