«Ogni cosa ha il suo perché, ogni anima il suo per chi.»
Stava infilando la chiave nella serratura dell’autorimessa al pianterreno quando si sentì chiamare.
«Sei… tu?»
L’aveva riconosciuto, anche dopo tutti quegli anni, anche così, di spalle, senza nemmeno avergli potuto vedere il viso.
Anche lui seppe subito chi aveva parlato e, abbassata la mano che reggeva la chiave, rinunciando per il momento ad aprire, si girò lentamente verso di lei. La guardava dolcemente, senza dire nulla, sorridendo, con il capo leggermente abbassato verso di lei. L’aveva sentita anche prima che lo chiamasse, aveva sentito il suo sguardo su di lui, come si sente battere il sole anche senza guardarlo, anche perché ogni cosa, in quella casa, in quella città, gli parlava di lei. Anche se erano passati più di vent’anni, incontrarla non fu niente cui non fosse preparato, avendola sempre pensata, sia quando era stato lontano, sia, a maggior ragione, da quando era tornato.
Per questo la guardava come se fossero passati appena due minuti, e non invece così tanti anni, da quando l’aveva vista l’ultima volta, con la tranquillità di chi non aveva, nonostante tutto, mai perso una connessione.
Lei lo intuì e si fece inquieta e incredula per qualche istante, di quella inquietudine che ti coglie quando ti trovi di fronte ad una situazione strana ma che, per qualche strana ragione, hai sempre immaginato e persino saputo che, nonostante tutto, sarebbe stata così.
Si mise a ridere e disse «Sai cos’è ho fatto poco fa? Ho chiamato mia cugina per farle gli auguri di compleanno, solo che lei li ha compiuti sei mesi fa…» e continuò a ridere di se stessa, della situazione, del fatto che non trovasse altro di cui parlargli rispetto a questo.
Lui le si avvicinò unendosi con un sorriso alla sua ilarità, senza dire ancora niente ma guardandola ammirato. Sapeva che una donna può qualche volta anche stare zitta, ma mai quando non c’è davvero niente da dire.
«Ma come ho fatto a sbagliare così tanto? Eppure ero sicura… Ma che cose che combino» diceva, sempre guardandolo in faccia, ricambiata.
Lui non pronunciava parola, continuava solo a tenere i suoi occhi dentro quelli di lei, con estrema calma.
Sorrise ancora e le disse «Sei bellissima». E lo intendeva veramente.
Era l’unica cosa che importasse, l’unica che lei voleva davvero sentir risuonare da quando lo aveva visto, aveva capito che era lui e così si era subito messa a ripassare mentalmente il modo in cui si era lavata, profumata, vestita, acconciata il mattino, durante la giornata, poi di nuovo indietro, fino all’ultimo appuntamento dalla parrucchiera, fino all’ultima uscita per acquistare dei vestiti.
Le sue prime due parole erano perfette, ma d’altra parte come avrebbe potuto essere diversamente? Non era mai stata connessa con una persona così come con lui, l’unica cosa che c’era stata in mezzo a loro era il tempo, era la vita, erano le cose… Ma in fondo aveva sempre saputo che questa loro connessione non sarebbe mai venuta meno, perché apparteneva ad un piano diverso da quello che si era posto in mezzo tra di loro.
Lui continuava a guardarla e ad ascoltarla, tranquillo, soddisfatto, per nulla irrequieto. Solo non sapeva se chiederle un appuntamento per la sera. Stare con lei era tutto quell che aveva sempre desiderato, ma in qualche modo era sempre comunque stato con lei anche tutti questi anni in cui non si erano visti per cui si chiedeva che differenza avrebbe fatto vederla quella sera, stare con lei davvero, nello stesso posto fisico e non solo con il cuore, senza riuscire a darsi una risposta, anzi sentendo che una risposta probabilmente non c’era, perché forse non avrebbe fatto differenza. Questa considerazione un po’ lo smarriva, come se tutta la sua vita, il suo rapporto con lei fosse da guardare, allora, da un punto di vista diverso da quello dal quale lo aveva sempre guardato.
Perché le cose erano andate così? Ma poi in fondo era così importante questa domanda, poteva avere anche solo un minimo senso? «Forse, forse… » – pensava lui, tanto per pensare a qualcos’altro – « le cose erano andate così perché anche noi non arrivassimo mai alla delusione, alla frustrazione, all’allontanamento. E poi le bugie, i sotterfugi, le cose non dette, i tradimenti.» «Forse» – si concedeva persino di pensare – «non viverlo è stato l’unico modo per consentire a questo amore di vivere per sempre. Ma se così fosse, allora che senso avrebbe tutto, che senso avrebbero l’amore, la vita?»
«In fondo l’ho amata così tanto, che non avrei potuto sopportare un tradimento da lei» continuava a pensare – «I tradimenti si sopportano dalle mogli che si prendono così, un po’ per caso, non dalle moglie ch si amano davvero, da quelle che ti amano davvero».
Gli venne in mente quel che gli disse una volta una sua amica dopo avergli confessato che tradiva il marito. A lui che gliene chiedeva ragione, dal momento che avevano una bella famiglia, era fondamentalmente un bel matrimonio, lei aveva risposto solo «leggerezze».
Ma in fondo non era questo, lui era sicuro che lei non l’avrebbe mai tradito, che questa sicurezza non significasse impossibilità non aveva alcun senso, non aveva alcuna importanza.
All’improvviso si incupì. Forse non aveva vissuto la vita con lei, la sua vera vita, per paura, semplicemente per paura di vivere. La vecchia voglia di stare nell’ovatta, dove non si vive, non si rischia e quindi è molto più difficile soffrire.
«Ho vissuto infelice perché costava meno» pensò.
E si velò di malinconia.
Lei subito se ne avvide. Smise lentamente di parlare, pronunciando solo le ultime parole necessarie per finire il discorso che stava facendo. Poi gli scostò un ciuffo di capelli che gli era dondolato sulla faccia, abbassò la mano. Lui teneva le mani in tasca, così per pigrizia. Lei infilò la sua destra nella tasca di lui e strinse forte una delle sua mani.
«Ti va di prenderci un caffè stasera?» le chiese, riconnesso, rasserenato, ricentrato, ritornato sulla terra. Poi aggiunse, guardandola intensamente negli occhi «Devo parlarti di quanto sei bella, perché secondo me tu non lo sai bene…».
Lei sorrise con tutto il viso e diventò così ancora più bella.