La casa, una villetta grassa di cemento ad un solo piano, si intravedeva all’interno di un folto giardino, cui si accedeva da un’imponente cancellata in ferro nero, cinta da due risalenti colonne in muratura, vestigia di una bellezza che un tempo doveva aver ammantato quei luoghi, che invece ora apparivano trascurati, declinati come nel piano di un sogno.
L’edificio era adombrato da alberi secolari e un’edera verde scuro ne copriva buona parte della facciata anteriore. Tutto era così calmo e sereno che quella casa pareva dormire, come se, anziché un’intrusa, fosse la beneamata figlia di tutta la fitta ed eterogenea vegetazione circostante, che la cullava in un abbraccio placido e tenero principiato decenni fa.
Una volta dentro al perimetro, venne assalito dall’odore dolciastro dei fiori della striscia nell’orto poco distante, che gli ricordarono come proprio tutte le creature cerchino amore, cerchino altri da loro, cerchino vita per fare altra vita.
Giunse di fronte al portone di legno, di fianco al quale c’era un campanello. Suonò, si produsse un suono argentino. Poco dopo, una donna di oltre sessant’anni accorsa ad aprire lo fece accomodare nell’angusto e poco illuminato vestibolo, dicendogli di togliersi le scarpe per poi attraversare quella porta, che gli andava frattanto indicando con un cenno del capo.
Lasciando fuori le scarpe, entrò nella stanza.
Senza fretta si spogliò completamente e si sdraiò sul lettino, coprendosi col lenzuolo.
Non c’era ancora nessuno.
La massaggiatrice arrivò dopo qualche minuto.
Era un’occidentale. Aveva due magnifici occhi azzurri che teneva sottotraccia, rendendoli così ancora più belli.
«Posso scoprire il seno, se vuoi» – disse – «ma non faccio altro»
Lui rimase immobile sotto la coperta e, un po’ impacciato, annuì sbattendo gli occhi.
Lei si tolse la maglia e infilò la mano sotto al lenzuolo.
«Che lavoro fai?» – gli chiese lei, come se col palmo stesse cingendo il calice di un aperitivo.
«Tra poco si metterà in bocca una sigaretta e con la sinistra si metterà a guardare il telefono» pensò lui.
Poi rispose – «Insegno Storia all’Università»
«Ah davvero? Io ho due master in Storia. Mi sono laureata in Filosofia, ma la mia passione è sempre stata la Storia»
Lui si illuminò. La guardò con fare interrogativo, lei fece un largo sorriso e disse, come condividendo una sua riflessione – «In una donna, la bellezza qualche volta, sia pur raramente, viene perdonata. L’intelligenza mai.»
Poi continuò – «Viviamo in un mondo maschilista e patriarcale»
Lui si rabbuiò. Pensava che stesse iniziando il solito pistolotto femminista sulle donne represse dai maschi.
Invece lei poi continuò – «E lo sai, caro il mio professore, chi sono le più maschiliste di tutti? Sono le altre donne… Se c’è qualcuno che non vuole il successo e l’affermazione delle donne, sono le donne stesse.»
Lui era sempre più genuinamente interessato.
Lei continuò «Tutti dicono che bisognerebbe che le donne governassero il mondo. All’esatto opposto, io penso che la cosa migliore sarebbe che il mondo riuscisse a renderle innocue. Tutti i più grandi macelli, specialmente a livello familiare, oggi sono combinati dalle donne.»
A quel punto, lui cominciò a pensare che tutto questo bel discorso facesse parte del servizio offerto dal centro massaggi della casa: «Massaggi maschilisti per consolare uccelli tristi maltrattati dalle femministe» pensò – «Dev’essere certamente così.»
«Dove hai studiato cara?» disse all’improvviso con voce un po’ artificiale, come se stesse tenendo una delle sue sessioni di esame.
Lei gli rispose, indicando sedi e docenti.
«E, vediamo… Cosa pensi della Rivoluzione francese?» – chiese lui.
«Cosa vuoi, mio bel professore» – risposte lei, sorridendo e continuando sempre a fare il suo lavoro – «È molto semplice, nonostante tutto. Alla fine ogni forma di Stato ha cambiato solo motivazioni per continuare a fare le stesse cose che facevano le forme di organizzazione politica di prima. Oggi viviamo in una Repubblica, ma paghiamo le tasse sugli immobili come le pagavamo al tempo in cui tutto era del re e ogni cosa era solo una sua concessione. Anzi, considerato che siamo in una specie di socialdemocrazia, in proporzione paghiamo molto di più.»
«In Italia non ci sono mai state rivoluzioni perché noi siamo troppo intelligenti per non capire che chi promuove cambiamenti in politica non vuole mai una soluzione per tutti, ma vuole solo ottenere qualcosa per lui e per il suo seguito. Inoltre, sappiamo che comunque le cose non cambieranno. Hai sicuramente letto o comunque conosci il Gattopardo: bisogna che tutto cambi perché ogni cosa rimanga come prima…» – sorrise di nuovo, un po’ affannata, poi riprese – «Quello che cambia però è il materiale umano, che diventa sempre più scarso: proprio come nella previsione del gattopardo, i felini lasciano spazio ai canidi, ai coyote, alle jene. E adesso, come sembrano nobili quei coyote e quelle jene di poco fa a confronto delle specie che abbiamo ora…»
Non era un servizio del centro, lei era vera.
Era autentica, per quanto originale, incredibile, curiosa. Ma tutto ciò altro non faceva che renderla ancor più interessante.
Lui a quel punto si arrese e si incaricò gli occhi di farglielo sapere, sottomettendosi e accettandola, aprendosi a lei. Non per nobiltà o altro del genere, ma solo per amicizia. Riconobbe in lei, per quanto strana fosse la situazione in cui si trovavano entrambi, e per quanto l’avesse incontrata solo una manciata di minuti prima, una delle quattro o cinque persone al mondo con cui si sarebbe potuto connettere veramente, in un universo di rapporti artificiali e, di conseguenza, superficiali.
La calma della casa, del giardino, la lenta ostinazione dei fiori, che aveva visto e sentito dal di fuori, adesso erano finalmente entrate anche in lui.
Lei lo guardò e sorrise, con quella particolare soddisfazione mista a rimpianto che manifesta chi vince spesso, ma non sa, o non può sapere, cosa farsene, poi, di quelle vittorie.
«Vedi professore» – continuò, apprezzando la sua apertura verso di lei, ma percependo la sua persistente curiosità – «una donna ha sempre una spiegazione eccellente per ognuno dei suoi macelli.»
– «Per questo, io non ti spiegherò proprio niente, non ti darò quelle spiegazioni che vorresti e che non servirebbero proprio a niente»
Lui si fece paonazzo e disse «Scusami ora!»
– «Che c’è?» ribatté lei.
– «Vorrei concludere, adesso!»
Lei soffocò una risata e smise di parlare.
Il viso di lei si era coperto di chiazze rosse, lui non capiva se era per la fatica o per essersi, almeno un po’, emozionata come si era emozionato lui.
Lui pensò a quando avrebbe raccontato, con affettata noncuranza e ostentata indifferenza, alla sua ex moglie che fuori città avevano aperto un nuovo centro massaggi, solo per sentirla moraleggiare, mettere in discussione la rispettabilità di quelle povere donne che ci lavoravano e finire poi per compatirle, come al solito, dall’alto in basso.
Pregustò quel momento, in cui avrebbe riso di cuore dentro di sé, e ne fu felice.